La mattina di lunedì un amico guardiacaccia mi accompagna in jeep in una grande vallata, la zona più fredda della riserva, al confine con la Croazia. Punto di partenza sud-ovest, zero gradi la temperatura dell’aria, cielo terso e luce spettacolare. Prima di andar via, il cacciatore mi lascia un’accetta, un paio di pacchi di fiammiferi antivento e mi indica con la mano la direzione da seguire, in linea d’aria, per arrivare a destinazione entro quattro giorni.
Lo zaino e l’attrezzatura (per un peso di 30 kg circa) ben caricati sulle spalle, l’ umore e l’entusiasmo alle stelle. Direzione da seguire: nord-ovest, spezzando la rotta qua e là per evitare eccessivi dislivelli (sia positivi che negativi).
Poi, il silenzio. Un silenzio assoluto. Muovendomi fuori sentiero nei tratti meno ripidi e “sporchi”, cerco sin da subito di evitare i rumori inutili, camminando con un passo controllato e attento.
Ovviamente, essendo nella riserva con più alta densità di orsi per ettaro in Europa ( non la seconda, come avevo precedentemente scritto), scelgo il compromesso “silenzio/ma non sorprendiamo l’orso”. La percezione di solitudine senza un mezzo di comunicazione addosso è veramente forte. In questi luoghi la percezione di vulnerabilità è alle stelle.
L’offroad si rivela troppo rumoroso sin da subito e gli unici esseri che arrivano a portata di camera sono i cervi giovani. Immortalare animali sulla via era un tentativo che sapevo già essere arduo, per le variabili di vento e rumore, ma ho voluto provare lo stesso, con scarsi risultati. Decido quindi di programmare degli appostamenti mattutini e serali, togliendo quasi 6 ore di marcia a ogni giorno nel bosco. Ma percorrere 35 km in 4 giorni in queste condizioni è molto difficile, considerato anche il tempo di allestire il campo, fare il fuoco, rifocillarsi e orientarsi senza sbagliare. La fretta non ha mai pagato nel lavori sulla natura. La natura, per dirla alla Carmelo Bene “se ne fotte!”.
Cammino tra mille pensieri e progetti immerso in un cadere di foglie e di passaggi di luce fioca e fredda che macchiano il sottobosco povero e umido. Una gran quantità di funghi, specialmente amanite, spuntano tra le radici degli alberi e dal manto di foglie secche.
Ecco manifestarsi quindi, in questo scenario fiabesco, i segni del carsismo. Più di una volta mi trovo a sprofondare fino al ginocchio per cedimenti del terreno sotto al fogliame, ma per fortuna le buche veramente pericolose sono evidenti e sempre riconoscibili , per via delle sporgenze rocciose intorno a esse.
Non posso affrettare il passo più di tanto in uno scenario come questo, me ne perderei l’essenza. Non posso neanche temporeggiare troppo, o chi mi aspetta farà partire sicuramente i soccorsi e verranno a cercarmi con i cani. L’ unica alternativa sarebbe raggiungere una zona sicuramente abitata o frequentata da boscaioli e comunicare il mio ritardo.
Ovviamente fare una deviazione a tal scopo mi distrarrebbe, guasterebbe la magia, ma sarebbe un doveroso gesto di rispetto nei confronti di chi mi ha dato questa possibilità.
L’essere stato incapace di fare un programma adeguato mi rende inizialmente furioso. Poi me ne faccio una ragione, continuerò fin dove possibile con gli appostamenti. Ho addosso anche attrezzatura presa a noleggio e devo sfruttarla per delle riprese valide.
Continuo fino alle 16 circa a camminare. L ‘atmosfera cambia. Attraverso un prato con diversi escrementi di animali, parecchi sono di orso.
La luce cambia, tutto si incupisce. Cerco di lasciare su un palco di avvistamento un bigliettino che indica il mio passaggio. Poi mi prende una strana fretta e continuo a camminare in una zona che sembra lo scenario di un film di Tim Burton.
Salgo di quota fino a 1500 metri per un vecchio sentiero di rocce e rami spezzati. Sulla mappa questa zona è segnata come “Inferno” (per la difficoltà delle strade e dei sentieri). Gli antichi avranno avuto non pochi problemi a tracciare queste piste. Ora tuttavia sono in disuso e hanno un’aria sinistra.
Arrivo a un trivio che è un insieme disordinato di alberi secchi e pietre. Sono indeciso, non so che direzione prendere. Dovrei seguire a nord ovest, ma un intricato cimitero di alberi mi fa desistere. Faccio qualche passo a est, un groviglio di legna secca mi respinge come una falange.
Potrei fare un primo appostamento, ma vorrei prima preparare il campo e capire meglio dove sono. Non è più orario per mettersi a girovagare.
Nel silenzio assordante preparo il mio bivacco e mangio qualcosa, con calma. Preparo il fuoco e nascondo il sacco dei viveri su un albero. Questa tecnica è stata giudicata inutile dai locali, ma è buona norma dormire lontano dal cibo. Ricordo che quando bivaccavo con i nomadi del Sahara in Marocco, le donne gettavano gli avanzi della cena anche a cinquecento metri dalle tende. Le provviste erano tenute in una tenda a parte.
Guardo e riguardo la carta. Questo punto non è segnato da nessuna parte. Non c’è un trivio sulla mappa, solo alberi. Seguire la rotta potrebbe significare, domani, cimentarsi in un pezzo di offroad che sicuramente mi richiederebbe del lavoro con l’accetta e un buon di intuito.
Sia a destra che a sinistra ci sono solo alberi morti che intralciano il passaggio e fitti arbusti che mi fanno passare qualsiasi voglia di affrontarli. Ci penserò domani.
Il fuoco mi tiene compagnia per qualche ora, mentre attendo la notte per fare qualche foto al cielo stellato. La vita dell’uomo primitivo che esplorava il mondo per la prima volta deve essere stata più dura di quanto immaginiamo. Solo, in allerta per qualunque rumore, con il reale pericolo di essere mangiato vivo da chissà quali bestie del passato (che temevano ben poco l’uomo), con l’ansia di poter morire di fame o di freddo, senza la concezione dello spazio e senza mappe!
Penso a questo mentre guardo calare le tenebre. Faccio un argine di sassi intorno alle fiamme, voglio tenerle vive fino a domani senza pericolo che si diramino.
Alle 20 è buio pesto. Il silenzio è ora rotto solo da qualche animale che passa vicino, facendo rotolare alcune pietre. Lo stesso rumore viene poi da direzioni diverse. Improvvisamente tutto tace. Si alza una lieve brezza notturna.
Prendo sonno con un brutto presentimento, con la percezione di non poter riuscire a fare quello che ho programmato. La temperatura si aggira intorno ai 5 gradi quando apro gli occhi, disturbato da una folata di vento freddo. E’ ancora buio, da lontano bramisce un cervo. Pensavo fosse già terminato a queste quote, invece mi stupisco e mi rassereno ascoltandolo.
Sorge il sole, il cielo è grigio e piove. Ma non erano previsti tre giorni di bel tempo? Le nuvole sono dense e ricoprono già la cima di 1700 metri che sovrasta il campo.
Non vi sono tracce di azzurro fino all’orizzonte. Lo sapevo, hanno sbagliato le previsioni. La scelta è continuare per un percorso difficile e incerto (nonchè inquietante e lugubre), o tornare su un sentiero noto e poi mettermi su una sterrata in direzione di un villaggio.
Passo diversi minuti nell’ incertezza. Poi prevale il buonsenso. E se peggiora? Se la nebbia scendesse di quota? Sarebbe già difficile con il bel tempo, non posso rischiare che mi vengano a cercare.
Torno sulla strada. Muovo pochi passi. Un grosso cervo maschio corre davanti a me tra le rocce, come per indicarmi la strada di ritorno. Lo seguo e lo guardo sparire tra gli arbusti.
Comincio a sperare che durante la marcia migliori il tempo. Se si sollevasse un pò di bora potrebbe spazzare via le nubi e potrei pensare a rientrare nel bosco. Le strade sterrate che percorro sono chiuse da tempo. Non transitano neanche i veicoli dei cacciatori. Alla fine realizzo, non c’ è soluzione, devo tornare.
Percorro 16 km in poche ore, a passo spedito. Fisicamente non avverto molta fatica, la cosa mi fa piacere da un lato e mette tristezza dall’altro. In totale camminerò nel bosco per 25 km.
Giungo in un villaggio che conosco bene, perfettamente in tempo per rifocillarmi come si deve. Unica consolazione per quanto accaduto.
Il mio ritorno, avvenuto nel pomeriggio di martedi, ha chiuso la parentesi traversata/riprese. Ho continuato invece gli appostamenti per il documentario sulla riserva. Orsi, volpi, cervi e caprioli (la foto di un orso la pubblicherò a breve).
Il tempo si è confermato in peggioramento, non fa altro che piovere e la nebbia è fitta già a 800 metri.
Non è facile lasciare il campo dopo mesi di allenamento e preparazione tecnica, ma davanti a imprevisti legati alle condizioni meteo la ritirata è obbligatoria. La fortuna è stata invece intuire il cambiamento climatico (non previsto) in tempo, e con margini di rientro abbastanza ampi da non dover battere in ritirata in gran fretta.
Mi ero giocato un livello di esposizione più elevato del solito, la traversata di una foresta di decine di migliaia di ettari senza mezzi di comunicazione, ma parallelamente ho dovuto alzare il livello di prudenza. Alla mattina del secondo giorno si era già capito che le previsioni erano errate e che ci sarebbe stato presto un altro bollettino, ben diverso. Non potevo chiedere informazioni a nessuno e tantomeno avrei potuto controllare via internet.
La rinuncia porta a maturazione, riflessione, capacità di rialzarsi in tempo. L’avventura è innanzitutto poter tornare a raccontare, i pericoli si affrontano se ce n’è un reale motivo o se si è costretti, se no i rischi già da soli bastano e avanzano.
Sono sicuro che ci sarà un’ altra occasione per misurarsi in modo più ragionato e indirizzare i propri sforzi in una sola direzione. Questa volta forse ho messo due piedi in una scarpa, e il tempo a mia disposizione era già ridotto in partenza.
Se si ha modo di imparare da un fallimento non è mai un vero e proprio fallimento. Ricomincerò a sognare a occhi aperti in Canada, a novembre. Per ora la Slovenia rimarrà nel ricordo come un mare di verde, gente super disponibile e come un suono lungo e vibrante: il bramito del cervo che dirada la nebbia nelle mattine di settembre.
Un grazie infinito a chi mi ha dato fiducia e ha reso possibile questa fantastica esperienza.
Emozionante,come sempre,quando scrivi
eih Bubu…non mancherà a te riprovare e raggiungere il tuo obiettivo…Pablo
complimenti, cazzo!
toujours aussi passionnants tes récits je t’embrasse !!!!