L’esperimento narrativo nella grotta del Pidocchio di Monte Pellegrino (Palermo Marzo-Aprile 2012) poteva possibilmente diventare un documentario di un tizio che non sa nulla di grotte che si chiude per settecento ore dentro un pozzo profondo venticinque metri in un fangosissimo campo di sei metri quadrati. Avremmo visto il protagonista organizzare l’impresa (niente di nuovo nel panorama mondiale, ma sicuramente un’esperienza interessante per lui e per altri), misurarsi con oscurità e solitudine, tremare con le rocce per il terremoto del diciannovesimo giorno e infine uscire contento alla luce per raccontarci di privazioni e di nuove scoperte sensoriali…
Mentre ero in Canada, diretto verso i ghiacci del Grande Nord in autostop per fare un sopralluogo per un altro lavoro, il film non era ancora stato montato e avevo già chiesto a Martino Lo Cascio (amico regista con il quale ho realizzato tanti lavori in passato) di aiutarmi a raccontare la grotta in modo diverso, perché mi stava adesso un po’ stretto lo stile visto in Oreto the Urban Adventure. Lui mi aveva seguito in grotta in qualità di psicologo (curando anche vari aspetti organizzativi e della comunicazione) e avevamo spesso parlato insieme degli sbocchi narrativi che si prospettavano.
Proposi allora a Martino qualcosa che ci spostasse dal classico documentario: avrei girato delle immagini in Canada e avremmo quindi lavorato insieme per incrociare le due esperienze in un unico lavoro a quattro mani.
Martino ne fu entusiasta, sebbene fossimo davanti a una sfida creativa notevole, in cui dovevamo raccontare due mondi apparentemente troppo lontani tra loro.
Pian piano, filmando la realtà degli eventi e poi lasciando sedimentare le idee, la scorsa estate cominciammo a lavorare al testo che traccia una linea molto soggettiva e introspettiva.
La narrazione, che riflette sul viaggio e sulle tappe che svolgono la nascita di una nuova idea (visione, azione, fallimento, ritorno), è nata da un lungo rapporto epistolare a distanza. Martino ha steso la prima bozza e per ottenere qualcosa che mettesse d’accordo entrambi abbiamo calibrato lo stile dell’uno su quello dell’altro senza mai perdere le rispettive identità. Tentativi difficili che hanno trovato però terreno fertile nella nostra ormai decennale amicizia e collaborazione.
Abbiamo quindi continuato per mesi a discutere sul “core” del film, per il quale il genere “documentario” è troppo restrittivo (sebbene tutte le immagini siano rigorosamente documentali) e risulta difficile da inquadrare con esattezza. Al termine dei lavori siamo ora di fronte a un racconto tra due esperienze opposte in termini di spazi, luce, colori, input, azione, ma che si intrecciano con richiami visivi forti e che hanno alla base la stessa motrice: la curiosità.
Vorremmo che fosse un’esperienza sensoriale per lo spettatore, che nei nostri desideri dovrebbe essere guidato nei propri pensieri e vivere il “proprio” film, associando immagini, musica e parole alle proprie esperienze più che a quelle di chi narra. La nostra scelta è stata quindi di non fare un resoconto dettagliato del vissuto con riferimenti geografici precisi o fornendo dati tecnici ma di vivere il tutto in uno scorrere fluttuante. Il “diario di bordo” delle due esperienze e le curiosità le si potranno trovare su questo blog, ma nel film troveranno una sintesi alternativa.
Il narratore, la cui voce è stata magistralmente interpretata da Alessio Boni, ha l’unico compito di prendere ogni tanto per mano chi guarda, guidandolo in un viaggio che speriamo possa essere fonte di spunti .
Le musiche di Fabrizio Cammarata e dei SeiOttavi hanno poi creato un sottofondo davvero perfetto per questa storia a metà tra un viaggio on the road e un accampamento nelle viscere della terra.
Non siamo scienziati, al massimo possiamo tentare di raccontare delle storie, perciò abbiamo prediletto gli aspetti che più potevamo collegare tra loro con la fantasia e il ragionamento. In primis: il sogno come motore e “geologia” sommersa delle nostre azioni.
A breve su questo blog il trailer del film.