Il primo giorno a Dawson ero parecchio triste. Non riconoscevo nessuno in strada e neanche al Pit (bar e hotel), dove ho preso una stanza/bettola a pochi dollari in attesa di spostarmi in tenda sul fiume. Poi ho incontrato per caso un amico e nel giro di poche ore tutti quelli che conosco si sono fatti vivi per festeggiare. Sono stato accolto anche meglio di un anno fa e la paura di non ritrovare gli amici è diventata felicità di averne incontrati anche di nuovi. Qua in primavera non ci si annoia mai, si fa festa, ci sono spesso party con BBQ a base di bistecche e salsicce di alce e caribù, ma soprattutto tanta tanta birra.
Rientrare nella comunità è anche fondamentale per fare un buon lavoro di documentazione. “Ama le persone e faglielo capire” è davvero la chiave che apre tutte le porte se vuoi raccontare una storia. Devo diventare parte di quello che mi circonda e ci vuole tempo. Sto raccogliendo i frutti dei venti giorni passati qua un anno fa a rischiare la cirrosi epatica. Ne è valsa la pena.
Il senso di comunità dei dawsoniani è impressionante ed era stato ben sottolineato da Bonatti nei suoi giorni in compagnia di George Hunter e delle famiglie locali. Sarà duro, come lo era stato per lui, lasciare questa atmosfera per navigare via sul fiume da solo.
In questa foto: softball con mannaia al posto della mazza…
La mannaia ovviamente tenuta dalla lama.