Dopo aver lasciato Whitehorse alle 20 di lunedì scorso, ho raggiunto in nottata, e con facilità, un isolotto appena a sud di Upper Laberge, più o meno come la prima tappa di Bonatti.
L’indomani, verso le 12, parto sotto un cielo che minaccia pioggia, ma il vento è assente. So per certo che il lago, lungo 53 km e largo appena 4/5 km, è una trappola per topi. Bonatti lo attraversò a destra traghettando al largo e fu colpito dal vento verso tarda sera…lottò per ore contro onde alte, quasi al buio, rischiando “un naufragio senza scampo”. Ma il lago è anche noto per le sue meraviglie paesaggistiche ed essendo appunto ” solo un lago” molta gente spratica, illusa dal bel tempo, parte per la traversata diretta e si ritrova nei guai.
Per prudenza quindi, appena entrato nel vastissimo specchio d’acqua, punto la riva sinistra, a circa 3km. Già a metà strada avverto delle vibrazioni dovute al vento che comincia a montare. Pagaio quindi più forte e raggiungo la riva dove, sotto una pioggia gelida, mi fermo a vestirmi con roba pesante. La pioggia mi abbandonerà di rado nelle lunghe 11 ore successive quando, fradicio ( i miei pantaloni non sono più impermeabili e l’ ho scoperto in quel momento), passo la grossa isola a metà circa del percorso. Nonostante i paesaggi meravigliosi, la mia ansia rimane costante. Il vento è cessato da un pò, ma sento che qualcosa sta avvenendo a sud. Come immaginavo, una perturbazione giunge rapidamente alle mie spalle e mi trovo presto a puntare una spiaggetta isolata per una sosta. Piuttosto che finire a bagno e andare incontro a morte certa, meglio aspettare “tranquillo” a terra. Appena approdato mi accolgono festose un centinaio di fameliche zanzare indemoniate. Faccio in tempo ad assicurare Rossana a un albero e a montare la tenda, poi crescono le onde e l’orizzonte è ormai frastagliato da “whitecaps”. La mia sosta diventa quindi un bivacco e attendo per tutta la notte fino alla sera successiva, come un naufrago su un’isola deserta. Intravista una finestra di bel tempo, remo all’impazzata puntando una penisola che, nell’oscurità della sera, si intravede appena.
Questa si trova a 5-6 km dal punto in cui riprende a scorrere lo Yukon. Per raggiungerla devo azzardare, perchè taglio un golfo e mi allontano dalla costa. Mi spezzo le braccia per raggiungere quel lontano gruppo di alberi che sembra non arrivi mai! Ecco quindi tornare il vento, gelido data l’ora. Nella quasi totale oscurità mi accorgo che in realtà ho raggiunto una immensa spiaggia di ciottoli e tiro Rossana in secca quanto più posso perché temo l’alta marea. Monto di nuovo la tenda e la fisso per bene con i paletti e tutte le corde che ho. Corro a circa 50m dal bivacco a scaricare la sacca con i viveri e poi mi rifugio nel mio sacco a pelo, sudato marcio e infastidito dalla situazione. Il vento non si calmerà prima delle 15 del giorno dopo. Parto con buone speranze, ma le onde ora arrivano di fianco e devo zigzagare per tagliarle bene, sempre costeggiando. Come a mare c’è una pausa fra un treno di onde e l’altro e la sfrutto per virare, una volta verso la costa e una volta verso il largo e così via. Un colpo di fianco durante questa manovra significa finire a mollo.
Non vorrei essere in mezzo al lago per niente al mondo, la situazione è sicuramente molto più pericolosa laggiù.
Arrivo finalmente al fiume e navigo a cavallo della corrente fino a Hootalinka, ex villaggio della Gold Rush a circa 150 km da Whitehorse, dove sbarco verso le 23. Sulla riva mi accoglie un giapponese cordialmente, una guida che porta in giro gente per brevi percorsi nel wilderness:” WELCOME TO THE YUKON!”. Lo abbraccio felice, e ringrazio il cielo di aver passato il primo grande ostacolo del viaggio. Verrò poi a sapere che il secondo giorno di burrasca, mercoledi, due team che partecipavano alla Yukon Quest, gara di endurance tra WH e Dawson, hanno preso tre onde di quasi 5 piedi l’una e sono finiti a bagno. Uno di loro, rimasto per venti minuti nella morsa del gelo, è stato portato a riva da una barca appoggio in stato di ipotermia.
A giro breve la seconda parte.