E quindi siamo di nuovo qua, dopo tanto silenzio (beh silenzio, almeno sul blog).
A Dicembre, dopo la “disfatta” su Munnizza dei Mari è nata l’idea di partire con la produzione di THE RAFTMAKERS ( con tutte le difficoltà del caso) e ho deciso di continuare a esplorare fiumi, con caratteristiche completamente diverse tra loro, in punti diversi del Pianeta. Questo non per perdere tempo o per il semplice piacere di scoprire. C’è qualcosa in più questa volta e ne sentivo la “presenza” già dal rientro dallo Yukon. Perché se i corsi d’acqua sono tra gli elementi che ci aiutano a capire lo stato di salute del Pianeta e le eventuali soluzioni per migliorarlo, il momento di vederli da vicino è proprio adesso. Tra dieci anni probabilmente non ci sarà più niente da vedere…Forse esplorare fino a 30-40 anni fa significava trovare qualcosa di nuovo da far conoscere alla gente. Oggi forse al ritorno da tali “esplorazioni – avventure – esperienze” possiamo solo condividere il nostro senso di preoccupazione, di amaro in bocca, di “resta ancora poco da far vedere e non durerà a lungo”. Comunque, ognuno è libero di scegliere l’approccio che gli è più congeniale per affrontare il proprio percorso di conoscenza, qualunque esso sia. Per quanto mi riguarda, dopo il Laos ho pensato che costruire zattere fosse un modo creativo e “old fashion style” per entrare meglio nelle realtà fluviali, che avevo di fronte e che mi ha portato a un rapporto più genuino e stimolante con una popolazione diffidente per ragioni culturali e storiche. Dopo Cuba inoltre, le idee su piano di lavorazione e mezzi da usare sono ancora più chiare…ma riprendiamo da dove ci siamo lasciati.
SITUAZIONE FIUME MEKONG – LAOS
Il Mekong è un esempio negativo di relazione uomo-fiume, probabilmente a uno stadio irreversibile di disastro ambientale. Soprattutto adesso che la costruzione di dighe sembra essere inarrestabile e interesserà diversi tratti della “Madre di tutte le acque”, sarà a serio repentaglio l’esistenza di decine di specie di pesci.
Quello che ho potuto vedere di persona però, non riguarda tanto le dighe e le grandi industrie cinesi, ma le usanze della popolazione stessa.
Infatti, per quanto al Mekong siano strettamente legate innumerevoli comunità di pescatori, contadini, commercianti, vi è una scarsa coscienza ambientale e una costante tendenza a inquinare l’ambiente.
“Munizza dei mari” nascosta sotto un telo, sulle sponde del Mekong, il giorno prima della partenza.
Questo potrebbe essere facilmente giudicabile se si ignorasse il passato di questa zona del mondo. La maggior parte della gente in Laos, dopo decenni di guerre e carestie, è ancora oggi in una condizione di vita precaria e sembra avere problemi più “immediati” della situazione ecologica.
Tyson, il ragazzo americano che ho incontrato a Pakson e che lavora da anni con i Lao per un progetto sulla coltivazione sostenibile del caffè (a favore dell’economia dei villaggi), mi ha detto che ha imparato ad accettare il fatto che i contadini delle piantagioni siano più per l’uovo oggi che per la gallina domani…anche perché “domani che ne so se sono ancora vivo”?
“Il loro modus vivendi – dice Tyson – sembra tenere la morte molto più in considerazione del nostro. E’ una presenza costante. Oltre alle milioni di vittime del conflitto Indocinese e del Vietnam (gli USA hanno sganciato forse più bombe in Laos che in ogni altro Paese del Sud Est Asiatico), si sono aggiunte negli anni a seguire, migliaia di decessi avvenuti durante la bonifica dagli ordigni inesplosi dei terreni da coltivare. La gran parte degli “addetti alla bonifica” erano persone anziane, perché questo lavoro è ovviamente molto rischioso.
Ecco perché si incontrano di rado persone avanti negli anni in questi Paesi. Anche la mortalità infantile è ancora alta, ed è in corso una lenta ripresa economica sul modello thailandese, incoraggiata con un preciso secondo fine dalla Cina. Non a caso nel Nord del Paese, già intorno a Luang Nam Tha, le scritte cinesi impazzano su auto e camion impegnati nel trasporto di uomini e materiali per la costruzione di dighe, strade e ponti, che faciliteranno gli scambi merci tra Pechino e Vientiane”.
Quando tornai a casa dal Mekong avevo come la sensazione di essere soffocato dalla plastica e dalla polvere, di vivere in un mondo ormai irrecuperabile.
Parlando poi con l’amico e compagno di avventure Simone Sciutteri ( appena tornato da 16000 km su Vespa 50cc in solitaria, attraverso l’Europa in pieno inverno), gli dissi che avrei voluto trovare un esempio agli antipodi del Sud Est Asiatico…e lui mi disse “Secondo me questo esempio puoi trovarlo a Cuba. Io conosco l’Isola, ho visto il Rio Toa, i campesinos bevono l’acqua alla foce…mica male!”.
Io ero stanco di viaggiare da solo, lui pure, manco a dirlo (cinque mesi seduto su una Vespa al freddo e al gelo!) e abbiamo deciso di andare a dare un’occhiata a questi misteriosi fiumi cubani, in particolare il più grande, appunto: il rio Toa.
Ma il motivo di tale protezione dell’ambiente ha anche una sfumatura legata alla storia geopolitica: i fiumi cubani della regione di Guantanamo attraversano innumerevoli zone militari…e questo l’avremmo scoperto a nostre spese solo arrivati sul posto…
TO BE CONTINUED.