Dal diario di viaggio di Simone
25 novembre
Aspettare. Non c’è niente di più frustrante che dover aspettare senza poter fare niente per sbloccare la situazione.
Sono giorni di piogge abbondanti, le strade di Baracoa si trasformano rapidamente in torrenti, dalle finestre arriva il rombo della mareggiata e noi – visto che avevamo disdetto la casa più grande in vista della partenza – siamo baraccanti in un buco, che per arrivare ai fornelli bisogna fare la gimcana tra le borse stagne!
Però. Forse qualcosa si muove; Manolo ancora non siamo riusciti a incontrarlo e probabilmente è bloccato in montagna dal maltempo. In compenso siamo riusciti a parlare con un responsabile delle guide del parco che ci ha dato appuntamento a domani con un vago “vediamo che si può fare”: non ha detto no, insomma, e nei labirinti burocratici e legali con cui ci siamo scontrati vale già un po’ di speranza. Staremo a vedere.
Intanto oggi siamo andati fino alla foce del Toa, che con le piogge di questi giorni è cresciuto parecchio: uno scenario selvaggio, tra dune di sabbia e palme, con lo Yunque sullo sfondo, e i detriti ammucchiati sulle sponde. La massa d’acqua è ben sopra la media ed è carica di detriti e si tuffa in mare con uno scontro di correnti che, se veramente riusciremo a scendere il fiume in zattera, sarà bene evitare, soprattutto se le condizioni meteo saranno queste. Stiamo studiando bene gli ultimi chilometri del fiume: insieme al piano B, l’idea di un blitz semi clandestino sulla zattera ci stuzzica abbastanza…
Dal diario di viaggio di Simone
2 dicembre 2015
Tre giorni di piogge incessanti e violente avevano reso le strade di Baracoa dei torrenti e, soprattutto, portato il livello dei fiumi oltre la soglia di sicurezza. Così, anche se – il condizionale è sempre d’obbligo – dovremmo finalmente aver trovato una soluzione per accedere alle “zone non turistiche” dei dintorni, abbiamo dovuto rimandare la partenza per le montagne attorno allo Yumurí e al Toa. Abbiamo perciò deciso con Igor di andare a passare qualche giorno nell’entroterra di Guantanamo, dove avremmo potuto incontrare l’appoggio di miei cari e vecchi amici. Ci interessava soprattutto dare un’occhiata al rio Jaibo e ai suoi dintorni, una zona abbastanza remota e poco conosciuta.
Dopo qualche ora di cavallo, attraverso finche e villaggi sperduti, siamo arrivati a incrociare il corso del Jaibo, qualche chilometro prima che sfoci in un lago artificiale. Con l’aiuto dei pescatori locali ci siamo procurati una camera d’aria, attorno alla quale, secondo i piani, avremmo dovuto costruire la zattera… Peccato che nei paraggi siamo riusciti a recuperare solo bambù vecchio e venato: dopo qualche centinaio di metri ci siamo resi conto che non poteva funzionare e ce ne siamo sbarazzati. A quel punto non ci restava che proseguire a bordo della camera d’aria… proprio lo stesso mezzo che usano i pescatori locali per andare a largo della diga a gettare le reti! Certo, in due su una sola camera d’aria stavamo un po’ stretti, ma non avevamo alternative…
Quasi completamente a bagno, un po’ spingendo e un po’ nuotando, siamo riusciti a percorre qualche chilometro del rio Jaibo, che in questa stagione è comunque poco più che un canale, con solo qualche tratto a carattere torrentizio. Le sue acque pulite raccolgono tutti i piccoli corsi d’acqua che dalle colline scendono a valle attraverso le foreste, gli stessi che abbiamo guadato a cavallo a più riprese, e scorrono attraverso campi e pianure incontaminate, dove, tra roveti e sterpaglie, pascolano allo stato brado gli animali allevati nelle finche circostanti. A poche centinaia di metri dalla diga, nei pressi di un lungo ponte ferroviario, la camera d’aria ha detto basta: tra il nostro peso e gli urti contro rocce e rami, si è sgonfiata e ci ha lasciato a piedi. Poco male: è stata comunque una giornata di “addestramento” utilissima, sia per prendere ulteriore confidenza con l’andare a cavallo (tutto bene, a parte un paio di guadi che si stavano concludendo con rovinose disarcionate!), sia per fare esperienza coi materiali e con l’ambiente. Soprattutto, speriamo che sia stata un’anticipazione di quel che troveremo anche nei prossimi giorni: natura incontaminata e comunità locali ospitali.
Il resto del tempo abbiamo potuto trascorrerlo vivendo il ritmo lento della vita del campo, esplorando le finche di caffè, i centri di raccolta e di prima lavorazione dei chicchi e facendoci raccontare dai locali tanti aspetti della vita di un campesinos. L’ospitalità – immancabili il maiale asado e il rum, ovviamente – è stata la perfetta cornice delle nostre giornate.
Oggi siamo dunque tornati a Baracoa. Domani sarà di nuovo giorno di preparativi…