Dal diario di viaggio di Simone
15 dicembre 2015
All’inizio non è stato facile. Era la mia prima esperienza su un fiume di un certo tipo e affrontarla su un mezzo come la nostra zattera rendeva le cose un po’ più complicate. Rispetto allo Yumurì, che ci ha creato un sacco di problemi, ma di altro genere, qui si trattava proprio di navigare. Quel po’ di confusione iniziale mi ha messo in difficoltà, spesso ricevevo indicazioni discordanti e, anche se stando a prua il compito è principalmente quello di dare propulsione, ho capito che farlo o non farlo e da che lato della zattera lo si fa può in parte influenzare la manovra, soprattutto in fase d’uscita.
Poi le cose sono rapidamente migliorate, abbiamo preso ritmo e sintonia e, ansa dopo ansa, tra quello che imparavo di prima mano e quello che mi aiutava a capire Igor, ho imparato l’importanza di spostare il peso da un lato all’altro della zattera e penso di essermi reso utile anche nella lettura delle insidie nascoste a pelo d’acqua, che dalla mia posizione ovviamente potevo avvistare per primo. Quindi direi proprio che a terra mi sono portato oltre alla bella esperienza, alle immagini spettacolari e alla soddisfazione, anche un poco di esperienza di navigazione fluviale; è stato un bel corso accelerato, dove imparare è stato semplice anche perché obbligatorio: o imparavo in fretta o invece di aiutare gli altri complicavo la situazione e magari rischiavamo di cappottare!
Al tramonto eravamo in linea d’aria proprio davanti alla base militare, a pochi chilometri dalla foce. Non c’era anima viva intorno a noi per fortuna, solo una bambina che giocava sulla sponda opposta alla base, arrivata da chissà quale casa. Una luce meravigliosa rendeva lo specchio d’acqua su cui galleggiavamo uno spettacolo unico. Tutti i problemi sembravano ormai lontani, ma dovevamo ancora capire dove fermarci per la notte, perché non volevamo filmare l’arrivo al buio.
B. ci ha suggerito un posto subito prima della Boca del Toa, dove abbiamo potuto attaccare le nostre amache. La notte è stata tranquilla e il sonno di quelli riposanti per davvero.
Dal diario di viaggio di Igor
15 dicembre 2015
Il giorno dopo, finalmente, l’ultimo sforzo. Il leggero ritorno di corrente della foce e il caldo soffocante hanno reso la progressione estremamente lenta, ma in fin dei conti breve. L’umore era alle stelle, anche se le ginocchia e le braccia cominciavano a far male. Da lontano sentivamo il frastuono delle onde frangenti e, dopo qualche centinaio di metri, ne vedevamo gli alti spruzzi bianchi, al di là della lunga lingua di sabbia scura che ci separava dall’oceano in tempesta. Dopo un paio d’ore siamo arrivati sulla spiaggia e abbiamo festeggiato con abbracci, foto di rito e video.
Anche B. pareva contento. Aveva già forse in mente dei programmi per le future escursioni in kayak per i turisti degli anni che verranno, dove ci saranno forse guide meglio equipaggiate, chioschi in spiaggia per rifocillarsi dopo una lunga remata e una strada con un furgoncino che riporterà i viaggiatori all’ostello. Ma questo non esiste ancora, non è ancora questo il momento e speriamo che, quando arriveranno questi tempi, il Toa possa in ogni caso continuare a scorrere lungo sponde incontaminate con le sue acque cristalline.
La marcia di rientro verso la strada per il paese, remi in spalla, è stata silenziosa. C’era poco da dire e tante immagini da accomodare tra i ricordi. Alle spalle lasciavamo il magnifico Toa, e una zattera di bambù di quasi otto metri.